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No Wonder: cos’è l’ecofemminismo?

In questo settimo episodio di No Wonder, con Honorine Zanata vi immergerete nella filosofia dell’ecofemminismo, dove vengono messe in luce le connessioni tra donne, natura e disuguaglianza di genere. Intraprenderete un viaggio illuminante per comprendere il legame intrinseco tra le donne e la Terra e l’urgente necessità di un futuro più sostenibile ed equo.

La conduttrice vi guida attraverso l’essenza dell’Ecofemminismo, svelando i suoi principi fondamentali e mettendo in evidenza come si intreccia con vari campi, dall’attivismo ambientale alla giustizia sociale.

Nel corso della puntata, sveliamo il contesto storico dell’ecofemminismo, rintracciando le sue radici nei primi movimenti ambientalisti e di liberazione delle donne. Attraverso la lente dell’intersezionalità, esploriamo le connessioni cruciali tra razza, status socioeconomico e ambientalismo, facendo luce sui danni sproporzionati subiti dalle comunità emarginate.

Questo episodio invita gli ascoltatori di ogni provenienza a comprendere la lotta per l’ecofemminismo: che siate appassionati di ambiente, sostenitori delle femministe o semplicemente curiosi di conoscere l’interconnessione tra genere e natura, questo episodio del podcast è assolutamente da ascoltare e serve sia come risorsa educativa che come fonte di ispirazione per promuovere il cambiamento a livello individuale, comunitario e globale..

Ciao e bentornati su No Wonder, in questo podcast discutiamo di tutti gli argomenti che riguardano la femminilità in generale, esistendo in una società patriarcale.

In questo episodio parleremo dell’ecofemminismo, un movimento nato negli anni Settanta e da allora evolutosi in una filosofia complessa e sfaccettata, con un’ampia gamma di influenze e applicazioni. Le radici dell’ecofemminismo possono essere fatte risalire al movimento ambientalista degli anni ’60 e ’70, che ha iniziato a sensibilizzare sull’impatto dell’industrializzazione e del consumismo sul mondo naturale.

Tuttavia, l’ecofemminismo si basa anche sulla critica femminista ai sistemi patriarcali di potere e oppressione. Gli ecofemministi sostengono che esista una profonda connessione tra l’oppressione delle donne e il degrado del mondo naturale, e che entrambi derivano da una mentalità di dominio e controllo.

Ritengono inoltre che il dominio degli uomini sulle donne sia un’estensione del loro dominio sulla natura stessa, e che questo dominio non sia solo dannoso per le donne, ma anche per l’ambiente.

Ma torniamo indietro di qualche passo:

Il movimento ambientalista degli anni ’60 e ’70 è stato un movimento sociale e politico emerso in risposta alle crescenti preoccupazioni sull’impatto dell’industrializzazione e del consumismo. Durante questo periodo, le persone divennero sempre più consapevoli dei danni ambientali causati dall’inquinamento, dalla deforestazione e da altre forme di distruzione dell’ambiente.

Il movimento è stato ampiamente influenzato dal libro rivoluzionario di Rachel Carson “Primavera silenziosa” (Silent Spring in inglese) del 1962.

Rachel Carson è stata una biologa marina, scrittrice e conservazionista americana.

Un conservazionista è una persona che si impegna attivamente nella protezione e nella conservazione delle risorse naturali, degli ecosistemi e della fauna selvatica. I conservazionisti possono essere coinvolti in un’ampia gamma di questioni, tra cui la protezione delle specie in pericolo, la conservazione delle foreste e di altri habitat, la riduzione dell’inquinamento e la promozione di pratiche agricole e di pesca sostenibili.

Carson è ampiamente considerata una delle più importanti ambientaliste del XX secolo. “Primavera silenziosa” è considerato una pietra miliare nella storia dell’ambientalismo.

Si tratta di un libro che denuncia gli effetti nocivi dei pesticidi sull’ambiente, in particolare sugli uccelli e su altri animali selvatici. Il titolo si riferisce all’inquietante silenzio che deriverebbe dall’eliminazione delle popolazioni di uccelli a causa dell’uso diffuso di pesticidi. Nel libro, Carson sostiene che l’uso indiscriminato dei pesticidi rappresenta una minaccia significativa per la salute umana e per l’ambiente, e invoca approcci più responsabili e sostenibili al controllo dei parassiti.

Negli anni successivi, questo movimento è cresciuto in forza e visibilità, con organizzazioni come Greenpeace, Friends of the Earth e Sierra Club che sono diventate voci di spicco per la difesa dell’ambiente. Il movimento portò anche alla creazione di regolamenti e politiche ambientali, come il Clean Air Act e il Clean Water Act negli Stati Uniti.

Il movimento ambientalista degli anni Sessanta e Settanta era anche strettamente legato ad altri movimenti sociali e politici dell’epoca, come il movimento per i diritti civili e il movimento contro la guerra. Molti attivisti vedevano la lotta per la protezione dell’ambiente come parte di una più ampia lotta per la giustizia sociale e i diritti umani. Nel complesso, il movimento ha svolto un ruolo cruciale nel sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di proteggere e conservare l’ambiente e ha gettato le basi per molte delle politiche e dei regolamenti ambientali che esistono oggi.

Tra i primi pionieri dell’ecofemminismo ci sono scrittrici come Vandana Shiva, Maria Mies e Carolyn Merchant, che hanno sostenuto che lo sfruttamento della natura e delle donne siano collegati in un sistema di capitalismo globale.

Vandana Shiva è una studiosa indiana. È nota per la sua difesa della sovranità dei semi e dell’agricoltura sostenibile e per il suo lavoro di promozione della giustizia ecologica e sociale. Shiva ha scritto molto sui legami tra degrado ambientale, globalizzazione economica e disuguaglianza sociale, sostenendo che questi problemi sono interconnessi e che debbano essere affrontati nel loro insieme. L’autrice è anche un’accanita critica del controllo delle risorse naturali da parte delle imprese e dell’impatto delle politiche economiche neoliberali sulle comunità e sull’ambiente. A proposito, le politiche economiche neoliberali sono un insieme di principi e politiche economiche che privilegiano il capitalismo del libero mercato, la deregolamentazione e la riduzione dell’intervento pubblico nell’economia.

Maria Mies è una femminista ed ecofemminista tedesca che ha scritto sui legami tra capitalismo, patriarcato e degrado ambientale. Ha sostenuto che lo sfruttamento delle donne e della natura facciano entrambi parte di un più ampio sistema di sfruttamento del capitalismo globale e che dobbiamo sfidare questo sistema per creare un mondo più giusto e sostenibile. Mies è nota anche per il suo lavoro sul concetto di “sussistenza”, che si riferisce alla quantità minima di risorse necessarie per la sopravvivenza di base, e per le sue riflessioni sull’importanza di valorizzare il lavoro delle donne e di altre comunità emarginate.

Carolyn Merchant è una storica ed ecofemminista americana che ha scritto molto sulla storia dell’ambientalismo e sui legami tra genere e natura. Nel suo libro “La morte della natura: Donne, Ecologia e la Rivoluizone Scientifica”, Merchant sostiene che la rivoluzione scientifica del XVI e XVII secolo sia stata accompagnata da un cambiamento nel modo di vedere la natura, da madre nutrice a macchina passiva da sfruttare. L’autrice sostiene inoltre che questo cambiamento sia stato accompagnato da un cambiamento nel modo in cui vediamo le donne come società, da esseri potenti con connessioni con il mondo naturale, a oggetti passivi da controllare. Merchant ha continuato a scrivere su questi temi, sottolineando l’importanza di valorizzare le interconnessioni tra gli esseri umani e la natura e di sfidare i sistemi di dominio che sono alla base del degrado ambientale.


Una delle principali aree di interesse dell’ecofemminismo, oggi, è la giustizia ambientale. Gli ecofemministi riconoscono che le comunità emarginate, in particolare quelle di colore e a basso reddito, sono spesso le più colpite dal degrado ambientale e dai cambiamenti climatici. Per questo motivo, le ecofemministe sono attivamente coinvolte in campagne e movimenti che cercano di affrontare queste ingiustizie e di proteggere i diritti delle persone più colpite.

Promuovono anche pratiche di vita sostenibili come mezzo per ridurre i danni ambientali e sensibilizzare all’equità sociale. Alcuni esempi sono l’agricoltura sostenibile, la riduzione dei rifiuti e dei consumi e la promozione delle fonti di energia rinnovabili.

Inoltre, l’ecofemminismo oggi riconosce l’importanza dell’intersezionalità nell’affrontare le cause profonde dell’oppressione. Ciò implica la comprensione dei modi in cui il degrado ambientale, l’oppressione di genere, il razzismo, il colonialismo e altre forme di discriminazione sono interconnessi.

Sono certa che a questo punto vi starete chiedendo quali siano le basi scientifiche di questa filosofia:

  • Interconnessione: L’ecofemminismo riconosce l’interconnessione tra esseri umani e natura. Questo è supportato dalla ricerca nel campo della psicologia ambientale, che ha dimostrato che il benessere delle persone è intimamente legato alla salute dell’ambiente naturale. L’esposizione alla natura può avere effetti positivi sulla salute mentale, sul funzionamento cognitivo e sulla salute fisica. Al contrario, il degrado ambientale può avere effetti negativi su questi stessi ambiti. Permettetemi di fornirvi un paio di esempi di questa realtà:
    1. Secondo uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, l’esposizione ad ambienti naturali, come parchi e foreste, è stata associata a una diminuzione dei livelli di stress, ansia e depressione, nonché a un miglioramento dell’umore e delle funzioni cognitive.Uno studio pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine ha rilevato che vivere in aree con più spazio verde è associato a livelli più bassi di obesità e malattie croniche, come il diabete e le malattie cardiache.
    Al contrario, è dimostrato che il degrado ambientale può avere effetti negativi sulla salute mentale, sul funzionamento cognitivo e sulla salute fisica. Ad esempio:
    1. Secondo uno studio pubblicato su Lancet Planetary Health, l’esposizione all’inquinamento atmosferico è stata associata a una riduzione delle funzioni cognitive negli adulti più anziani.Un altro studio pubblicato sull’International Journal of Epidemiology ha rilevato che l’esposizione all’inquinamento acustico è associata a un aumento del rischio di depressione e ansia.La ricerca ha anche dimostrato che il degrado ambientale può avere effetti negativi sulla salute fisica, come l’aumento del rischio di malattie respiratorie, cancro e altre patologie.
  • Il secondo punto portato sono i ruoli di genere e l’ambiente: L’ecofemminismo riconosce i modi in cui i ruoli di genere e la socializzazione contribuiscono al degrado ambientale. La ricerca ha dimostrato che gli uomini sono più propensi a mettere in atto comportamenti dannosi per l’ambiente rispetto alle donne e che i ruoli tradizionali di genere possono rafforzare atteggiamenti e comportamenti che contribuiscono al danno ambientale. Ad esempio, gli uomini sono statisticamente più propensi a preferire attività che consumano più risorse, come guidare automobili più grandi o mangiare più carne.
  • Un terzo punto è la giustizia ambientale: come abbiamo già brevemente accennato, l’ecofemminismo ne riconosce l’importanza, che è supportata dalla ricerca nel campo della sociologia ambientale. Studi hanno dimostrato che l’effetto sproporzionato del cambiamento climatico sulle comunità di colore e a basso reddito è spesso dovuto alla discriminazione e all’abbandono sistemico. Questa ricerca sostiene la convinzione ecofemminista che il danno ambientale è legato alla disuguaglianza sociale e che dobbiamo affrontare entrambi per creare un mondo più giusto e sostenibile.

Esistono diversi rami di questo movimento, tra cui l’ecofemminismo vegetariano, l’ecofemminismo spirituale e l’ecofemminismo materialista. Ma alla loro base, tutti affermano che il dominio maschile ha portato a una disconnessione tra natura e cultura, che ha colpito negativamente i gruppi emarginati e la natura stessa.

Ecofemminismo e mondo animale

Gli econfemministi mangiano gli animali?

Vediamo: citando un articolo del 1991, intitolato Ecofeminism and the Eating of Animals (trad.L’ecofemminismo e il mangiare gli animali), questa filosofia dovrebbe rifiutare la “logica del dominio” che giustifica l’uccisione degli animali, poiché “Un modo di essere veramente ginocentrico è essere in armonia con la terra e in armonia con il proprio corpo, e ovviamente non include l’uccisione di animali“.

La filosofia si spinge ancora più in là con i processi di identificazione. L’identificazione significa che i rapporti con gli animali vengono ridefiniti: non sono più strumenti, ma esseri che meritano di vivere e verso i quali ci comportiamo con rispetto, se non per amicizia.

L’argomentazione è che gli esseri umani non sono riusciti a capire cosa significhi essere un “essere” e a riconoscere che anche gli animali possiedono un valore intrinseco e hanno esperienze ed emozioni simili alle nostre. Per sostenere i diritti degli animali, si ricorre spesso a esperienze personali di empatia con gli animali. Per esempio, assistere alla sofferenza degli animali negli allevamenti di fabbrica o nelle industrie dell’intrattenimento può portare gli individui a riconoscere che gli animali sono in grado di provare dolore e sofferenza, proprio come gli esseri umani.

Si ritiene che la tradizionale visione del mondo incentrata sull’uomo, che pone l’uomo al vertice di una gerarchia di valori, sia errata e non riconosca il valore degli altri esseri. Sostengono quindi che dobbiamo andare oltre la semplice concessione di diritti legali agli animali e riconoscere il valore intrinseco di tutti gli esseri, umani e non umani. Riconoscono anche che la filosofia patriarcale che lega le donne alla natura abbia effetti negativi misurabili, che devono essere identificati e affrontati. La relazione tra il consumo di carne e il disastro ambientale è misurabile.

La nostra cultura che sostiene la carne è riuscita a separare le conseguenze del mangiare animali dall’esperienza del mangiare animali. Inoltre, la mancata considerazione delle conseguenze di questa natura deriva dai dualismi che caratterizzano la cultura patriarcale: il consumo è vissuto separatamente dalla produzione, e la produzione è valorizzata rispetto al mantenimento. Con questo l’autore dell’articolo intendeva probabilmente dire che, come risultato della feticizzazione delle merci associata alla produzione capitalistica, vediamo il consumo come un fine in sé, e non consideriamo quali sono stati i mezzi per raggiungere quel fine. Ad esempio, mangiare un pollo morto è dissociato dall’esperienza delle donne nere che, in qualità di “raschia polmoni”, ogni ora devono raschiare l’interno di 5.000 cavità di polli ed estrarne i polmoni.

In effetti, statisticamente, il novantacinque per cento di tutti i lavoratori del pollame sono donne di colore che devono affrontare la sindrome del tunnel carpale e altri disturbi causati dal movimento ripetitivo. Sia le lavoratrici sai i polli stessi sono mezzi per il fine del consumo, ma poiché il consumo è stato disincarnato, l’oppressione sui lavoratori e sui loro corpi consumabili è invisibile al cliente finale.

Questa produzione disincarnata di un prodotto tangibile è vista come un’indicazione positiva dell’economia, perché è spesso associata a un aumento dell’efficienza, della produttività e della redditività, ma la manutenzione – quelle azioni necessarie per sostenere l’ambiente – non è né misurata né valutata. Attualmente, la manutenzione dello spazio domestico o ambientale non è calcolata in termini economici – il lavoro domestico non è calcolato nel Prodotto Nazionale Lordo degli Stati Uniti, né lo sono le risorse ambientali che valutiamo (Waring 1988). Non misuriamo gli effetti ambientali negativi dell’allevamento di animali per il nostro cibo, come i costi per il suolo e le falde acquifere. Il mantenimento delle risorse è sacrificato alla produzione di “carne”.

L’ecofemminismo estende la teoria anche al processo di identificazione dell’oppressione e dello sfruttamento delle donne con lo sfruttamento della natura e degli animali non umani, sostenendo che i sistemi patriarcali e capitalistici hanno un impatto distruttivo su entrambi. In questo modo, tracciano spesso dei paralleli tra il modo in cui vengono trattate le donne e quello in cui vengono trattati gli animali non umani, in particolare nel contesto dell’agricoltura animale e dell’allevamento in fabbrica.

Per esempio, alcune ecofemministe hanno evidenziato il modo in cui le mucche femmine dell’industria lattiero-casearia vengono ripetutamente ingravidate e private dei loro vitelli poco dopo la nascita, causando loro una notevole angoscia e sofferenza emotiva. Allo stesso modo, le ecofemministe hanno richiamato l’attenzione sul modo in cui le femmine sono spesso sottoposte a riproduzione forzata e al furto dei loro piccoli, sostenendo che queste pratiche non sono dissimili dallo stupro e dal rapimento, poiché negano all’animale il diritto all’autonomia sul proprio corpo e sul proprio sistema riproduttivo.

Gli econfemministi sottolineano anche che le donne sono spesso relegate a lavori poco remunerati e di basso livello in industrie come l’agricoltura, la pesca e la trasformazione alimentare, e sono soggette a condizioni di lavoro precarie, lunghi orari e bassi salari. Ciò è simile allo sfruttamento degli animali non umani, che sono spesso trattati come semplici merci da sfruttare per il loro lavoro o per il loro corpo, come nel caso dell’allevamento in fabbrica e della sperimentazione animale.

Critiche all’ecofemminismo

La più grande critica all’ecofemminismo si rifà all’idea di essenzialismo, o “convinzione che le cose abbiano caratteristiche prestabilite”. Alcuni ritengono che equiparare le donne alla natura rafforzi la dicotomia delle norme di genere che il femminismo ha cercato di evitare. Questo si basa sulle idee di essenzialismo e di generalizzazione: alcuni critici sostengono che l’ecofemminismo si basa su presupposti essenzialisti, attribuendo qualità intrinseche alle donne e alla natura, che possono rafforzare gli stereotipi e trascurare la diversità e la complessità delle esperienze delle donne e del mondo naturale.

I critici sostengono che ciò possa limitare l’inclusività e l’intersezionalità del movimento. (Warren, K. J. 1997), che sia maschio o femmina.

L’ecofemminismo è quindi criticato per la sua eccessiva enfasi sul genere: sostengono che l’ecofemminismo tenda a privilegiare il genere come lente primaria attraverso cui comprendere e affrontare le questioni ambientali, mettendo potenzialmente in ombra altri fattori importanti come la razza, la classe e il colonialismo. Suggeriscono che è necessaria un’analisi intersezionale più ampia per affrontare appieno la complessità della giustizia sociale e ambientale. (Agarwal, B. 1992).

Alcuni critici sostengono anche che l’ecofemminismo possa essere eccessivamente critico nei confronti della scienza, della tecnologia e della modernizzazione, presentandole come intrinsecamente distruttive e patriarcali. Questa critica suggerisce che i progressi della scienza e della tecnologia possono contribuire alle soluzioni ambientali e non dovrebbero essere completamente respinti. (Plumwood, V. 1993).

Infine, gli esperti sostengono che l’ecofemminismo spesso si concentra sulla critica e sull’analisi senza fornire proposte politiche chiare e attuabili per affrontare le disuguaglianze ambientali e di genere. Questo può portare a una percezione dell’ecofemminismo come privo di soluzioni pratiche e a limitare il suo impatto sul processo decisionale. (Gaard, G. 2015).

In questo episodio del podcast abbiamo esplorato l’intersezione tra ecofemminismo, oppressione degli animali e trattamento delle donne in vari settori. Abbiamo discusso di come l’ecofemminismo identifichi i parallelismi tra lo sfruttamento delle donne e quello degli animali non umani, in particolare in contesti come l’agricoltura animale e l’allevamento in fabbrica. L’ecofemminismo afferma che gli individui possono cambiare, e nel cambiare riposizioniamo il nostro rapporto con l’ambiente. Questa forma di empowerment è proprio ciò che serve per affrontare la questione della posizione degli animali nella nostra vita. Si possono fare molte connessioni tra il nostro cibo e il nostro ambiente, la nostra politica e la nostra vita personale.

In sostanza, l’esistenza di animali terminali è paradigmatica e contribuisce all’inevitabilità di una Terra terminale.In conclusione, la conversazione ha esplorato le molteplici connessioni tra l’ecofemminismo, l’oppressione degli animali e le esperienze delle donne. Ha sottolineato la necessità di un approccio olistico per comprendere e affrontare le disuguaglianze sistemiche presenti nella nostra società. Riconoscendo e sfidando queste forme di oppressione interconnesse, possiamo lottare per un futuro più compassionevole e sostenibile per tutti.

Bibliografia

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  • Warren, K. J. (1997) Femminismo ed ecologia: Making Connections). Al giorno d’oggi, sempre più persone iniziano ad affermare che ognuno di noi ha la propria [combinazione di qualità femminili e maschili] (https://www.mindbodygreen.com/articles/what-is-feminine-energy)

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